VAMPIRE: THE MASQUERADE

BLOODLINES 2

Recensione

A un ventennio dalla pubblicazione di Vampire: The Masquerade – Bloodlines, viene facile svincolare questo apprezzatissimo cult dal bastimento di problemi che al tempo afflisse la gestazione del progetto di Troika Games: risorse limitate, tempistiche stringenti e mal gestite, diversi passi falsi durante il percorso di sviluppo e grandi pressioni da parte di Activision, che peraltro spinse il team a pubblicare in un periodo decisamente sfavorevole. Visto che il gioco era basato sul Source Engine e per contratto non poteva uscire prima di Half-Life 2, l’etichetta ebbe la dissennata idea pubblicare Bloodlines lo stesso giorno del capolavoro di Valve, e a meno di una settimana dall’approdo su PC della versione 1.0 di World of Warcraft. Al netto delle avverse contingenze – e di una discreta mole di inciampi tecnici e ludici - il “canto del cigno” di Troika Games riuscì a offrire alla platea un’esperienza profonda e memorabile: un miracolo d’altri tempi, di un’epoca in cui era ancora possibile salvare una produzione cagionevole con un bel “colpo di reni” in dirittura d’arrivo. 

Avete presente il concetto di “Bioware magic”? Ecco, siamo lì. 

Oggi gli exploit dell’ultima non funzionano più come una volta, e un percorso di sviluppo accidentato si traduce quasi sempre in un esordio disastrato. È questo il caso di Bloodlines 2, titolo messo in cantiere da Hardsuit Labs con la collaborazione di qualche veterano d’eccezione, ereditato da The Chinese Room con un ricco bagaglio di problemi e ristrettezze, e infine sbarcato sugli scaffali lo scorso 21 ottobre, a quasi un decennio dal primo pitch del progetto. L’esito di questa ordalia è agli antipodi rispetto a quello del 2004: se il primo Bloodlines era un bel prodotto nonostante i suoi difetti, il sequel è un brutto gioco malgrado qualche pregio. Prima di procedere, mi sembra opportuno offrirvi almeno una coordinata cognitiva in più, tanto per essere chiari: le critiche a Bloodlines 2 esulano del tutto dal confronto col suo predecessore, ma riguardano quelle che sono le numerose mancanze di una proposta insanabilmente mediocre.

UNA BUONA SCRITTURA NON BASTA

Prima di passare in rassegna gli aspetti meno convincenti della produzione, che di fatto costituiscono la gran parte dell’ensemble, è quantomeno opportuno riconoscere a The Chinese Room il merito di aver posto a sostegno dell’esperienza una scrittura di gran valore, che di per sé non fa sentire più di tanto la mancanza delle firme di Brian Mitsoda e Chris Avellone, entrambi coinvolti nella stesura originale della sceneggiatura. Il racconto si apre con l’inaugurazione dell’accidentale sodalizio fra il leggendario “Nomade” Phyre, l’antico vampiro interpretato dal giocatore, e lo stravagante Malkavian Fabien, un detective che da una parte ricorda gli antieroi “hard boiled” di Hammet e Chandler, e dall’altra fa sfoggio della spiccata eccentricità tipica del suo clan. Una brillante caratterizzazione che dà slancio a una trama ricca di sfumature noir, tesa fra il passato e il futuro della Camarilla di Seattle, tra le tappe di una storia disseminata di macchinazioni e misteri. Perché Phyre e Fabien si trovano a condividere lo stesso corpo? Qual è l’origine del marchio arcano che limita i poteri del Nomade? Cosa hanno a che fare gli intrighi del presente con le sanguinose gesta del “rebar killer”, l’omicida che da quasi un secolo turba le notti dell’elite vampiresca? Questi sono gli interrogativi intessuti fra le maglie di un intreccio che si sviluppa su due percorsi paralleli: da un lato ci sono le peregrinazioni notturne di Phyre nella Seattle del 21° secolo e dall’altro le oniriche rimembranze di Fabien, che da decenni dà la caccia a un assassino tanto enigmatico quanto inafferrabile. In linea di massima questo dualismo funziona, almeno sul piano puramente narrativo, e ben riesce a incanalare il fascino patinato e decadente della “Masquerade” di White Wolf, con tutti i suoi giochi di potere e le mille idiosincrasie del mondo vampiresco.

Peccato solo che il ritmo e la consistenza del racconto vengano regolarmente intaccate da una progressione alquanto traballante, che si muove fra snodi dialogici con un impatto perlopiù nullo sullo scorrere degli eventi (almeno fino agli epiloghi), e una corposa sequela di missioni e attività secondarie di una piattezza disarmante. Volendo entrare più nel dettaglio, gli incarichi principali seguono un copione schematico e totalmente lineare, che in genere prevede l’alternanza fra scarpinate e combattimenti privi di mordente, mentre quelli collaterali comportano la tediosa reiterazione di un terzetto di modelli: raccogli\consegna un oggetto, segui la scia odorosa di un individuo per poi abbatterlo, raggiungi una location ed elimina l’avversario in loco. Come se non bastasse, rientra nel novero delle missioni di fazione anche la caccia ai collezionabili sparsi in giro per Seattle, o meglio all’interno della sparuta porzione che ospita l’ambientazione di Bloodlines 2. Malgrado le dimensioni contenute della mappa – che di per sé non rappresentano un problema – l’assetto dell’esperienza rende l’open world molto più ingombrante del dovuto, visto che quasi ogni attività impone l’attraversamento di ampie porzioni di uno scenario tendenzialmente scialbo, composto da una manciata di luoghi d’interesse immersi in un pallido ritaglio urbano. Il timido avvicinamento alla formula di Dishonored – palese in diversi aspetti dell’impasto ludico - coinvolge in primis il sistema di movimento, ma posso assicurarvi che la possibilità di scalare (alcuni) palazzi e planare di tetto in tetto allevia solo in parte la monotonia delle traversate in questione, anche perché non è sempre possibile sfruttare tali facoltà. Nei panni di Fabien, in particolare, non potremo fare altro che sgambettare in giro per la città, affrettandoci a completare sezioni sostenute da un gameplay con restrizioni piuttosto significative. Al di là dei suoi difetti strutturali Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 è quindi un titolo che non rispetta il tempo dei giocatori, preferendo annacquare l’avventura con una sfilza di espedienti datati e ripetitivi.

QUANDO IL POCO STROPPIA

Qualitativamente parlando, insomma, l’esperienza procede lungo un tracciato decisamente ondivago, e lo stesso può dirsi per i lineamenti di una delle componenti fondamentali della proposta, ovvero il combat system. Il nucleo del sistema di combattimento è rappresentato da meccaniche corpo a corpo non particolarmente appaganti o rifinite, che vedono Phyre fronteggiare gli avversari in un susseguirsi di percosse (lo “stile” cambia a seconda del clan scelto) e schivate, che man mano spingerà i bersagli a un passo dalla morte permettendo al Nomade di chiudere i conti con una dissetante esecuzione: una trafila essenziale per ricaricare i “punti sangue” richiesti da ciascuna delle quattro abilità vampiresche di cui il protagonista potrà disporre durante le battaglie. A seconda del clan scelto in testa alla campagna, Phyre guadagnerà l’accesso a un quartetto di poteri distintivi, che riuscirete a ottenere già nelle primissime ore. Successivamente sarà possibile arricchire la dotazione mistica del Nomade con tutte le capacità delle restanti consorterie (fatta eccezione per il primo tratto passivo di ognuna), ma per farlo sarà necessario spendere una quota maggiorata di punti abilità, variabile in base alle naturali inclinazioni del clan selezionato. La seconda “conditio sine qua non” è lo sblocco delle succitate facoltà presso i rappresentanti delle varie congreghe, che richiederà l’accumulo di dosi più o meno massicce di sangue con specifiche “risonanze”: una procedura tutt’altro che esaltante. A scanso di equivoci, ci tengo a precisare che il sostrato ruolistico di Bloodlines 2 è sostanzialmente filiforme, quindi non aspettatevi chissà quale varietà nei suoi riverberi sul gameplay. Detto questo, combinare i vari poteri del Nomade può accrescere – e di molto – la godibilità delle tenzoni, specialmente alla luce delle differenze fra gli approcci tipici dei diversi clan. Complici le asperità basali del combat system, ben presto si è però portati a favorire lo scontro a distanza o la furtività, e ciò finisce per limitare in modo consistente l’effettiva svariatezza dei combattimenti, complice il ridottissimo assortimento delle minacce schierate dinnanzi al giocatore.

Per quanto semplici le meccaniche stealth funzionano discretamente bene, al netto dei frequenti svarioni dell’IA, mentre fa un po’ sorridere (amaramente) il fatto che non sia possibile impugnare armi di alcun tipo. Phyre può al massimo manipolare con la telecinesi quelle lasciate a terra dai nemici, quanto basta per sparare qualche colpo o indirizzare un mazzuolo verso gli incisivi del poveraccio di turno. A dirla tutta, mi risulta difficile associare queste trovate a una precisa rotta creativa, e lo stesso vale per dissonanze di rilievo come quelle legate alla gestione delle riserve di sangue (in rotta con la lore di Vampire), e per la generale trivializzazione di molti dei tasselli di un’offerta che col mondo dei gdr c’entra davvero poco. È facile supporre che The Chinese Room abbia piuttosto provato a “fare di necessità virtù”, tentando di risollevare le sorti di un progetto male in arnese con mezzi limitati, ma il risultato è purtroppo un costrutto dozzinale che sa tanto di occasione sprecata. In questo contesto non sappiamo quanto l’adozione dell’Unreal Engine 5 abbia facilitato l’impresa del team britannico, ma è certo che Bloodlines 2 non verrà ricordato per la pregevolezza delle sue vedute. Manco a dirlo, anche su questo versante troviamo delle oscillazioni di rilievo sia per quel che riguarda la modellazione dei personaggi, sia per quel che concerne la costruzione e l’illuminazione degli ambienti. La direzione artistica manifesta le medesime disuguaglianze, che vanno a delineare un netto divario fra le scene\location principali e il resto degli scenari. Tutto considerato, il gioco si comporta relativamente bene sul piano prestazionale, con tutto che non mancano fluttuazioni nel frame rate e fenomeni di stuttering: dissesti tipici del motore di Epic. Durante le circa 25 ore necessarie al consumo di tutti i contenuti del titolo, sono anche incappato in bug più o meno rilevanti, nonché in qualche bruttura legata alla programmazione di elementi come, ad esempio, la velocità soprannaturale del vampiro Fabien, che provoca l’accelerazione di ogni altro soggetto presente nella scena. Nel caso in cui il mancato supporto alla lingua italiana vi abbia scoraggiato, insomma, sappiate che Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 ha problemi di ben altra caratura, magagne che mi spingono – col cuore pesante – a sconsigliarne l’acquisto, specialmente se avete adorato l’originale di Troika Games. 

Pubblicato il: 06/11/2025

Provato su: PC Windows

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3 commenti

un vero peccato, ottima rece
ho giocao il primo per un sacco di ore, fa un pò male

mi piacque tanto il primo capitolo, anche se non riuscii a completarlo. quando hanno annunciato il sequel, mi era salita una certa hype, scemata poi con le notizie di problemi nello sviluppo.. davvero peccato, Vampire The Masquerade merita una gestio …Altro... mi piacque tanto il primo capitolo, anche se non riuscii a completarlo. quando hanno annunciato il sequel, mi era salita una certa hype, scemata poi con le notizie di problemi nello sviluppo.. davvero peccato, Vampire The Masquerade merita una gestione videoludica migliore.

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